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NOTIZIE DEGLI SCAVI DI ANTICHITÀ COMUNICATE DALLA SCUOLA NORMALE SUPERIORE DI PISA Rassegna archeologica del Laboratorio di Scienze dell’Antichità Supplemento agli Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa Classe di Lettere e Filosoia serie 5 2014, 6/2 Scavi e ricerche a Segesta (Calataimi-Segesta, TP; 2013), Entella (Contessa Entellina, PA; 2014), Kaulonia (Monasterace, RC) e Roca (Melendugno, LE) cura redazionale: Chiara Michelini Premessa Carmine Ampolo vii Segesta Scavi nell’area dell’agora (2013): risultati e prospettive di ricerca Carmine Ampolo, Maria Cecilia Parra 3 Area della strada (SAS 3; 2013) Riccardo Olivito 11 Agora. Stoa Nord. Settore centrale (SAS 4; 2013) Riccardo Olivito, Alfonsa Serra 18 Agora. Stoa Nord. Settore NordEst (SAS 4; 2013) Oriana Silia Cannistraci, Marianna Perna 23 Agora. Stoa Nord. Ala Est (SAS 4; 2013) Agata Abate, Nicola Giaccone 33 Entella Prima del palazzo. Nuovi sondaggi nell’ediicio fortiicato medievale (SAS 1/2; 2014) 43 Alessandro Corretti Appendice. Un contesto arcaico/classico sotto l’ambiente N Chiara Michelini 55 Kaulonia Introduzione Maria Cecilia Parra 69 La Tabula Cauloniensis: note preliminari Carmine Ampolo, Maria Cecilia Parra, Emilio Rosamilia 72 Note su una produzione di punte di freccia nel santuario di Punta Stilo Azzurra Scarci 81 Roca Problemi di demograia e di organizzazione territoriale nella Puglia protostorica. Il paradigma di Coppa Nevigata e l’anomalia di Roca Riccardo Guglielmino 93 Contributo per lo studio della ceramica del Bronzo Finale: i materiali del Pozzo L12 Stefania Giannini 113 Abbreviazioni bibliograiche 127 illustrazioni 151 Premessa Carmine Ampolo Si presenta qui il nono fascicolo delle Notizie degli scavi di Antichità della Scuola Normale Superiore, il quinto che appare nella nuova veste editoriale, come supplemento agli Annali. Avviando questa Rassegna archeologica abbiamo inteso rispondere alla inalità di rendere noti alla comunità scientiica in tempi brevi e in forma preliminare i risultati delle ricerche del Laboratorio di Scienze dell’Antichità (LSA). Nato dall’uniicazione del Laboratorio di Storia, Archeologia e Topograia del Mondo Antico (LSATMA) e del Laboratorio Informatico per le Lingue Antiche (LILA), ha una nuova e unitaria sede, ubicata nel Palazzo della Canonica, che si afaccia a Sud sulla piazza dei Cavalieri. Come di consueto, le Notizie ofrono un quadro delle attività sul terreno condotte dal LSA in collaborazione con Soprintendenze, Parchi Archeologici e Università. In queste attività il Laboratorio impegna non solo personale, strutturato e non, ma anche attrezzature di elevata qualità tecnica, tali da garantire gli esiti di documentazione migliori. Ad esempio il LSA si è dotato dal 2010-2011 di due velivoli U.A.V. multimotore radioguidati, cioè di droni che permettono di eseguire riprese e ilmati ad alta risoluzione, utilizzabili sia per una eicace e aggiornata divulgazione dei dati che per varie forme di ricerca scientiica – dall’analisi più tradizionale dei dati alla sperimentazione più avanzata. Nell’apparato illustrativo di queste Notizie, come nelle precedenti, si possono apprezzare esempi signiicativi dei rilievi fotograici, che stanno alla base di molte elaborazioni. Quest’anno, la documentazione acquisita con i droni è stata utilizzata, oltre che per gli scavi di Segesta e di Kaulonia, anche per quelli di Entella dove, nell’autunno 2014, è stata nuovamente efettuata una breve campagna di scavi nell’area del fortilizio medievale costruito sulle rovine di ediici antichi. È continuata, con signiicativi risultati, l’attività relativa alle elaborazioni 3D inalizzate alla ricostruzione e alla modellazione di materiali archeologici e di complessi monumentali. Molte sono già presentate viii Carmine Ampolo nella serie delle Notizie; ma il lavoro si sta intensiicando – grazie alla sinergia tra il nostro Laboratorio, l’Università di Pisa e il DREaMSlab della Scuola Normale (diretto dal Prof. Vincenzo Barone) –, con inalità di ricerca e di sperimentazione molto avanzate nel campo della CyberArchaeology (vd. l’introduzione alla sezione dedicata a Segesta di C. Ampolo, M.C. Parra, in questa sede). Molte delle elaborazioni eseguite grazie alle riprese da drone sono state presentate in una mostra documentaria allestita nel Palazzo della Carovana, sede della Scuola Normale, nei mesi di dicembre 2013 e gennaio 2014. I siti oggetto delle indagini presentate quest’anno sono Segesta, Entella, Kaulonia e Rocavecchia, dove le indagini archeologiche continuano con signiicativi risultati, che forniranno i contenuti delle prossime Notizie degli scavi. Ma anche quest’anno, come nel 2013, abbiamo dato spazio a contributi di approfondimento su temi circoscritti, collegati alle ricerche in corso, in particolare a Kaulonia e a Rocavecchia. Rimando ai singoli rapporti per una illustrazione dettagliata dei risultati nei singoli siti, limitandomi a qualche cenno alle loro linee portanti. Ancora una volta vorrei sottolineare il signiicato storico che hanno assunto le indagini a Segesta: si è accresciuta la documentazione relativa ai vari periodi di vita del complesso, dalla ‘rinascita’ su scala monumentale dell’agora in età tardoellenistica e delle sue trasformazioni di età romana, al suo abbandono nel III sec. d.C., seguito dalla rioccupazione tardo-antica e alto-medievale e poi da quella ben più estesa di età sveva. Nel 2013 gli scavi si sono svolti nei due settori della monumentale stoa ad alae oggetto di indagine già in precedenza. Non breve sarà il lavoro per leggere nella sua interezza di forme architettoniche il grande portico che chiudeva a Nord la piazza lastricata – con le sue forme e le sue misure ‘teatrali’, connotate dal ‘gigantismo’ proprio della Sicilia; ma la via verso una sua conoscenza totale è ormai abbondantemente spianata. Nuovi dati si sono aggiunti per una più ampia lettura dell’ala Est nella sua articolazione non solo planimetrica e funzionale – ben diversa rispetto a quella dell’ala Ovest – ma anche di fasi. Notevoli i risultati del piccolo saggio eseguito nella navata esterna della stoa, in corrispondenza di una lacuna della pavimentazione tardoellenistica: è chiaro che anche questa zona sommitale del Monte Barbaro fu interessata da forme insediative (a carattere ‘privato’?) già in età tardoarcaica e classica. ix Premessa Per quel che riguarda il lato Nord, è stato ormai pienamente confermato che la struttura ad archi individuata al centro aveva una funzione di sostruzione della parete rocciosa friabile, in corrispondenza di lacune, servendo al tempo stesso a sostenere il secondo ordine della stoa (forse in un punto in cui non possiamo escludere la presenza di un altro accesso dalla retrostante terrazza superiore; e un accesso a questo livello era già noto più ad Est). Lo scavo ha ben evidenziato che il muro di fondo del portico celava questa sostruzione alla vista di chi percorreva la navata interna; e che un ambulacro di ispezione correva dietro di esso. I confronti con le stoai ateniesi di Attalo e di Eumene sono resi sempre più evidenti dalla nuova documentazione. Un altro intervento nodale è stato reso possibile dalla rimozione di un breve tratto della strada moderna di servizio verso il teatro. Finora aveva impedito di capire in pieno le modalità di collegamento tra il lato Ovest dell’agora – con il suo criptoportico – e la sottostante terrazza della «piazza di Onasus». Adesso sappiamo che l’ingresso al criptoportico era verosimilmente ‘segnato’ da un ingresso monumentale in età tardoellenistica; ed anche come in età protoimperiale si accedeva alla stoa Sud-Ovest inglobata nel macellum dalla strada lastricata. Sono grato alla Direzione del Parco per aver autorizzato questa indagine che è intervenuta sulla viabilità moderna, ma che è stata di fondamentale importanza in termini di conoscenza scientiica. Un ponticello provvisorio, ma perfettamente carrabile, da noi fatto realizzare dalla Ditta di Antonio Fici – che da anni coadiuva le indagini sul campo con grande perizia – ha peraltro ripristinato prontamente il percorso viario (che si spera venga poi totalmente modiicato rispettando i resti antichi). La ripresa delle indagini sul campo sulla Rocca di Entella – interrotte da alcuni anni per provvedere alla pubblicazione della Carta Archeologica dell’area, ormai pronta per la stampa – hanno interessato essenzialmente l’ediicio fortiicato medievale ed alcuni suoi livelli sottopavimentali, con lo scopo di veriicare l’utilizzo dell’area precedente alle ultime fasi edilizie del fortilizio (ine del XII e prima metà del XIII secolo). Lo scavo ha restituito dati utili per confermare che l’ediicio tardonormanno era stato preceduto nell’XI secolo da costruzioni più modeste, costruite su strati ricchi di materiali di età romano-repubblicana. Il quadro insediativo in quest’area del pianoro sommitale di Entella è stato inoltre arricchito dallo scavo di uno strato di colmata di una cava x Carmine Ampolo «a fossa aperta», ricco di materiali di età tardoarcaica, riferibili ad un unico contesto d’uso che doveva essere ubicato poco lontano. Per quanto concerne le indagini nel santuario di Punta Stilo a Kaulonia, in queste Notizie si è scelto di concedere spazio pressoché totale alla ormai nota Tabula Cauloniensis. L’eccezionale testo della prima metà del V sec. a.C., con una dedica metrica a Zeus – la più lunga iscrizione greca in alfabeto acheo nota dalla Magna Grecia – inciso, stoichedon, su una tabella in bronzo larga cm 25, sarà da me edito con la collaborazione di un mio allievo perfezionando della Scuola Normale: nell’attesa, ripropongo quanto pubblicato in sintesi nel catalogo di una recente mostra (vd. M.C. Parra, Kaulonia. Introduzione, in questa sede). Inine, Rocavecchia. Il contributo di R. Guglielmino mette in rilievo come, a giudicare dall’estensione degli abitati e dalla consistenza demograica che da questa si può desumere, in Puglia nessun centro sembri assurgere al ruolo di central place, come si ritiene avvenga in altre regioni italiane in vari momenti dell’età del bronzo. Gli oltre trenta insediamenti fortiicati fondati nel Bronzo medio lungo le coste ioniche e adriatiche sembrano rimanere autonomi e autosuicienti, apparentemente senza dare origine a forme di gerarchia territoriale o a fenomeni di sinecismo. Spiccatamente proiettati verso i traici marittimi e dotati ciascuno di un proprio territorio, essi sembrano riprodurre e perpetuare un unico modello di abitato. Tuttavia un confronto tra Roca e Coppa Nevigata, che sono i centri indagati in maniera più estesa e sistematica, consente di evidenziare, accanto alle evidenti ainità, diferenze altrettanto perspicue. Roca, in particolare, mostra sin dalle prime fasi di occupazione alcune anomalie che inducono ad attribuirle uno status speciale e che divengono numerose ed esplicite nel Bronzo inale, quando il centro adotta un’organizzazione spaziale a maglie regolari, con ampie strade e una piazza centrale, ospitando all’interno delle fortiicazioni soltanto ediici monumentali con preminenti funzioni comunitarie e assumendo una isionomia urbanistica che non trova confronti nel panorama italiano. Mi preme inine ringraziare di cuore il Direttore della nostra Scuola e gli amici del Servizio Parco Archeologico di Segesta e delle Soprintendenze ai BB.CC.AA. di Trapani e di Palermo, insieme a quelli della Soprintendenza Archeologica della Calabria, i quali ci hanno sempre assicurato il loro supporto, anche in questo momento non facile per le amministrazioni pubbliche. Una menzione particolare va, come sempre, al personale e ai collaboratori del Laboratorio, il cui impegno consente di realizzare i progetti xi Premessa di ricerca sia nei vari siti della Sicilia e della Calabria che nella nostra nuova sede pisana, ino all’elaborazione e alla redazione inale di queste Notizie. Sono inoltre grato, per la consueta amichevole disponibilità unita ad una indubbia professionalità, alla Redazione degli Annali, alla cui direzione sono stato chiamato dal 2012, nonché a tutti gli amici delle Edizioni della Normale. 3. Kaulonia. Note su una produzione di punte di freccia nel santuario di Punta Stilo Azzurra Scarci Gli scavi condotti nel santuario di Punta Stilo a Kaulonia dall’Università di Pisa e dalla Scuola Normale Superiore in collaborazione con la Soprintendenza Archeologica della Calabria a partire dal 1999 hanno evidenziato un quadro articolato sulla presenza di armi da ofesa e da difesa. Le analisi quantitative eseguite sul nucleo di armi, per la determinazione di percentuali di difusione delle varie classi, hanno sottolineato una predominanza di punte di freccia in bronzo (circa il 47% del totale delle armi, per un numero di settantuno esemplari) (ig. 100). Lo studio tipologico efettuato sulle punte di freccia kauloniati ha offerto la possibilità di riafermare ipotesi ormai consolidate e di riprendere e completare rilessioni passate1. Innanzitutto, prendendo come punto di partenza il lavoro di Baitinger2 sulle armi da ofesa rinvenute nel santuario di Olimpia, sono stati isolati dodici tipi di punte di freccia (ig. 101)3. Undici sono difusi in tutto il bacino del Mediterraneo, dal Mar Nero all’Iberia, mentre un solo tipo guarda più al Mediterraneo occidentale: una punta di freccia bilobata ad immanicatura cava e doppio uncino laterale (ig. 102)4. Le punte di freccia, come tutti gli elementi dell’armamento oplitico, Un sentito ringraziamento va al Prof. Carmine Ampolo per la disponibilità nell’aver accolto questo articolo e alla Prof.ssa Maria Cecilia Parra per il sostegno ed il costante stimolo alla ricerca. 1 Ci si riferisce a concetti già esposti, in maniera embrionale, nella tesi specialistica. 2 Baitinger 2001. 3 La tavola tipologica qui presentata si costituisce, per un motivo puramente convenzionale, di una sola variante per tipo; le varianti si distinguono per la forma della lama triangolare, romboidale o lanceolata. 4 Tipo VIII Kaulonia. 82 Azzurra Scarci non hanno valenza cronologica, la maggior parte di esse sono attestate per diversi secoli con le medesime forme, per questioni prettamente funzionali. Da ciò deriva che lo studio sistematico di questa classe di reperti e della loro difusione nel Mediterraneo è certamente non privo di insidie, mancando pubblicazioni sistematiche con adeguati apparati graici e fotograici e trattandosi di materiali di cui poco si riferisce anche nei rapporti di scavo5. Partendo da queste premesse e sulla base dell’edito, è stato possibile circoscrivere un’area geograica relativa alla circolazione delle punte di freccia bilobate a doppio uncino: un raggio non molto ampio che, ad eccezione di due esemplari rinvenuti in Anatolia (Pazarli e Didima)6, si estende dall’Italia meridionale all’Iberia (ig. 103), per un periodo compreso tra il VII ed il III sec. a.C. Una difusione inconsueta per reperti che si è soliti rinvenire in vaste aree e in grandi numeri, forse per via dell’incompletezza dei dati editi. I siti che hanno restituito esemplari di punte di freccia bilobate a doppio uncino sono7: Pazarli (Anatolia centrale)8, Didima9, Metaponto10, Nessuna delle punte di freccia iberiche è pubblicata con un accurato apparato graico e fotograico. Gli unici dati provengono dalla tavola tipologica delle frecce iberiche proposta da Ferrer Albelda 1996 e dalla mappa di distribuzione di Quesada Sanz 1997. 6 Il primo esemplare è stato rinvenuto nei livelli frigi (inizi VII sec. a.C.) dell’abitato di Pazarli, sito dell’Anatolia centrale, da riferire all’invasione dei Cimmeri (cfr. Koşay 1941, p. 18, tav. XX, 40). Il secondo esemplare (ine VII-inizi VI sec. a.C.), dagli uncini asimmetrici o forse un difetto di fusione?, proviene dal versante nord-occidentale della collina del Taxiarchis di Didima, uno scarico del santuario di Apollo formatosi dopo la distruzione persiana (campagna di scavi Didima 2001; Taxiarchis KP 10, Fo 31; Inv. MM 01-4; ex gratia Lubos 2007-08, p. 98, n. 22, tav. 2, 22). 7 I siti vengono ordinati e nominati su base geograica, da Oriente ad Occidente. 8 Koşay 1941, p. 18, tav. XX, 40. 9 Lubos 2007-08, p. 98 n. 22, tav. 2, 22. 10 Metaponto I 1975, p. 264, ig. 279b (inv. 29528). 5 83 Kaulonia. Note su una produzione di punte di freccia nel santuario Kaulonia, Locri Epizeiri11, Himera12, Puig des Molins (Ibiza)13, La Monclova (Siviglia)14 e Mesa del Almendro (Siviglia)15. I loro contesti di rinvenimento sono vari: abitativo nel caso di Pazarli, Himera e Locri Epizeiri, sacro per Didima, Metaponto e Kaulonia, di necropoli per Ibiza16. La questione dell’origine e dei modi di trasmissione dei tipi di punte di freccia è assai complessa. Per diverse decine di anni, di qualsiasi tipo fossero e qualunque fosse la loro provenienza, sono state considerate una produzione ‘scitica’. Sulimirski, al quale si deve il lavoro più completo sulla distribuzione di punte di freccia di tipo scitico dal Caucaso al mondo coloniale greco, deiniva scitiche solo due varietà di punte di freccia in bronzo: un tipo trilobato ad immanicatura cava, a volte corredato di uncino laterale, ed un secondo con corpo piramidale a sezione triangolare. Punte di freccia di entrambi i tipi sono state ritrovate a migliaia dal Caucaso all’Europa e in tutto il bacino del Mediterraneo d’inluenza greca. Per la grande difusione riscontrata nel mondo greco esse sono state denominate ‘greco-scitiche’17, in realtà non attribuibili a pieno titolo al gruppo scitico ma più ad una tradizione scitica difusasi presso popolazioni allogene. Ai due tipi, di cui sopra, è da aggiungere una punta di freccia bilobata ad immanicatura cava ed unico uncino, che fa la sua prima apparizione in Anatolia nei livelli frigi di Bogazköy, Gavur-Kalesi e Pazarli, forse connessa all’invasione dei Cimmeri (700680 a.C.)18. Locri III 1989, p. 17, tav. IV, 1 (Centocamere; I strato b, settore di scavo non speciicato); Locri IV 1992, p. 367, n. 403 (inv. M86/60), tav. XCVIII, 403 (Casa dei Leoni; amb. b, periodo D, us 763). 12 Himera II 1976, p. 469, n. 60, tav. LXIX, 15 (Isolato XVI, amb. 33, Inv. H70.149,1). 13 Garcia Guinea 1967, pp. 72-3, ig. 4, 5; Elayi, Planas Palau 1995, pp. 148 e 200 ig. 8, Tipo XVII. 14 Quesada Sanz 1997, p. 454, ig. 273, n. 323. 15 Ferrer Albelda 1993, p. 213; Id. 1996, p. 50; Quesada Sanz 1997, p. 454, ig. 273, n. 325. 16 Per gli esemplari di Mesa del Almendro e de La Monclova non si hanno informazioni di rinvenimento, si può però ipotizzare che provengano da contesti abitativi, poche sono le testimonianze di punte di freccia da contesti di necropoli, Ibiza è uno di questi. 17 Sulimirski 1954, pp. 288 e 295. 18 Ibid., p. 308. 11 84 Azzurra Scarci Il tipo bilobato ad unico uncino ha origini riconducibili alla Transcaucasia del IX-VIII sec. a.C., raggiunge l’Asia occidentale grazie ai Cimmeri e agli Sciti e si difonde tra i Cretesi, gli Egiziani e i Babilonesi, per via diretta e/o indiretta, nel VII-VI sec. a.C., successivamente utilizzata dai Greci e dagli arcieri persiani, scompare nel III sec. a.C.19. Il prototipo della punta di freccia bilobata a doppio uncino è da rintracciare, senza dubbio, nel tipo bilobato ad unico uncino, la cui origine ‘orientale’ è oramai veriicata20. L’aggiunta successiva del secondo uncino è imputabile a motivi pratici e di maggiore eicacia. I due uncini costituivano il punto di forza del tipo, rendendolo funzionale sia per scopi bellici che venatori, era infatti estremamente diicile estrarre il proiettile dalla ferita inferta senza provocarne ulteriori e gravi lacerazioni. Una volta intuita l’aidabilità e l’eicacia dell’arma diicilmente se ne abbandonava la forma, questo dimostra perché molti tipi di punte di freccia, così come punte di lancia e di giavellotto, ebbero una difusione nel tempo e nello spazio tanto ampia; quella delle punte di freccia a doppio uncino copre all’incirca quattro secoli, dalla prima metà del VII sec. a.C. all’inizio del III sec. a.C. La sua difusione nel Mediterraneo occidentale avvenne sia per via terrestre, grazie agli incontri/scontri tra le popolazioni d’origine caucasica e le popolazioni dell’Anatolia, che per via marittima, forse grazie ai traici levantini21. Nonostante ciò, il tipo non si difuse a macchia d’olio nel Mediterraneo; con un vuoto di attestazioni nella Grecia propria, fattore insolito ma forse non totalmente attribuibile alla scarsa documentazione edita22, dal mondo anatolico si giunge geograicamente in Magna Grecia e in Sicilia. La particolarità dei rinvenimenti magnogreci, all’infuori degli esemplari locresi più recenti, è la loro provenienza da area achea, mentre per il territorio siceliota è altrettanto caratteristica la mancanza di attestazioni nelle colonie puniche. Ad Ibiza si ha un’unica attestazione, ora Snodgrass 1964, pp. 150-1; Garcia Guinea 1967, pp. 76-8; Curtis 1987, p. 119. Snodgrass 1964, pp. 149-51 con note 31 e 33; Garcia Guinea 1967; Quesada Sanz 1989, p. 167; Ferrer Albelda 1996, pp. 46-7. 21 Mancano evidenze nelle colonie occidentali fenicie: Cartagine, Mozia, harros, Sulcis, solo per citarne alcune. 22 Il santuario di Olimpia ha restituito centinaia di punte di freccia, nessuna associabile al nostro tipo, e più genericamente migliaia di reperti, tra ex voto e non, dalla provenienza più disparata dall’Oriente all’Occidente. 19 20 85 Kaulonia. Note su una produzione di punte di freccia nel santuario esposta al Museo Archeologico, la cui provenienza dalla necropoli di Puig de Molins è solo ipotizzata ma non veriicata23; dalla Spagna provengono altri due esemplari da Mesa del Almendro e da La Monclova (Siviglia), ora nella collezione privata Marsal di Cordoba24. Fino a due decenni fa, il tipo è stato considerato una produzione locale originaria delle oicine fenicio-puniche di Ibiza, rinomato emporion del Mediterraneo occidentale25, databile alla seconda metà del VII sec. a.C., terminus post quem della necropoli di Puig des Molins. La presenza, però, di due esemplari dell’inizio e della ine del VII sec. a.C. dall’Anatolia e di diversi esemplari databili tra la seconda metà del VI e l’inizio del III sec. a.C. nel territorio magnogreco e siceliota fa pensare ad un circuito di difusione ben più ampio. Solo il santuario di Punta Stilo a Kaulonia ne ha restituiti ventidue26. Purtroppo le informazioni disponibili non sono suicienti per individuare con sicurezza un centro produttore ed esportatore del modello: gli esemplari anatolici sono pezzi isolati dal resto del Mediterraneo occidentale, mentre quelli iberici sono troppo pochi per ipotizzare una produzione locale, per cui le dinamiche di produzione e di circolazione sono non meglio identiicabili. Risulta altrettanto lecito chiedersi se vi sia una relazione tra il tipo bilobato a doppio uncino e un’antica produzione ad ardiglioni con uncini posizionati all’estremità inferiore dell’immanicatura, difusa nella zona dei grandi laghi della Svizzera e nella Francia orientale e centrale dell’età del Bronzo D/Hallstatt B (1250-1100 a.C.)27. In letteratura28 si sono prese le distanze da simili congetture poiché esemplari troppo lontani nel tempo e nello spazio da potersi considerare dei prototipi. Tutta- Cfr. Elayi, Planas Palau 1995, pp. 126-7 nota 8 e p. 148. Quesada Sanz 1997, p. 639. 25 Elayi, Planas Palau 1995, p. 200. 26 Venti sono stati rinvenuti durante le campagne di scavo 1999-2014, altri due provengono dagli scavi pregressi degli anni Sessanta diretti dal Rag. Bruno Chiartano per conto della Soprintendenza. Per questi ultimi, inediti e privi di numero di inventario, si è ipotizzato lo stesso strato di provenienza, ossia il III, dello spallaccio conigurato a protome gorgonica. 27 Coutil 1912a, pp. 131-2, nn. 7, 9, ig. 1 (Francia e Svizzera); Coutil 1912b, p. 485, igg. 1-2 (Svizzera); Flinders Petrie 1917, tav. XLI, nn. 149-50 (Svizzera); Mercer 1970, pp. 186-7 (Tipo III) igg. 3D e 4. 28 Elayi, Planas Palau 1995, pp. 200-1; Quesada Sanz 1997, p. 442. 23 24 86 Azzurra Scarci via, il rinvenimento ottocentesco nell’insediamento di Casalecchio di Reno (Bologna) di una punta di freccia ad ardiglioni con immanicatura cava sulla quale si innestano due apici rivolti verso l’alto, non dei veri e propri uncini, potrebbe rappresentare una forma intermedia d’età villanoviana tra le punte hallstattiane e quelle ormai standardizzate d’età storica (ig. 104)29. Per quanto riguarda, invece, l’individuazione di un centro difusore del tipo in Magna Grecia e Sicilia, l’analisi dei contesti stratigraici noti ha evidenziato che i primi esemplari nel sud Italia sono quelli rinvenuti nel santuario urbano di Kaulonia a partire dalla seconda metà del VI sec. a.C. L’esemplare metapontino, da un contesto sacro con materiali dal VII alla ine del IV sec. a.C.30, non è perfettamente inquadrabile cronologicamente, mentre le attestazioni dai livelli abitativi di Himera e Locri Epizeiri sono successive anche di due secoli31. Che le punte di freccia a doppio uncino compaiano per prime in contesti kauloniati ben databili fa ipotizzare che la polis possa essere stata l’esportatrice di un modello, come nel caso delle terrecotte architettoniche32, assimilato a sua volta grazie ai traici marittimi che la sua posizione geograica permetteva33. Una volta acquisito il modello (importando matrici, artigiani o la tecnica di produzione?), se funzionale, si continuava a produrre in loco. Le recenti ricerche nel santuario di Kaulonia hanno evidenziato che, nel- L’esemplare da Casalecchio di Reno, classiicato e datato da Montelius in modo poco convincente all’età del Bronzo (cfr. Montelius 1895, tav. 30, ig. 9), è stato ripreso in esame da Coutil (Coutil 1912b) nell’ambito del suo studio sulle punte di freccia ad uncini dell’età del Bronzo, sempre con la medesima datazione. 30 Si tratta della stipe votiva rinvenuta in proprietà Favale, nei pressi dell’angolo SudOvest delle fortiicazioni, da riferire, secondo gli scavatori, ad un santuario extraurbano. All’interno della stipe non mancavano le armi: punte e puntali di lancia in ferro, spade e punte di freccia (cfr. Metaponto I 1975, pp. 257-64, ig. 279). 31 L’unico esemplare imerese proviene dall’isolato XVI, ambiente 33, ed è databile all’inizio del V sec. a.C., relativo alla pianiicazione urbanistica realizzatasi al di sopra dell’impianto arcaico. Gli esemplari locresi provengono, invece, uno dallo strato Ib, settore non speciicato, di Centocamere, datato tra ine IV e prima metà del III sec. a.C., ed un secondo dall’ambiente b, periodo D, della Casa dei Leoni, corrispondente all’abbandono di III sec. a.C. 32 Giaccone, Capelli 2012. 33 Cfr. in sintesi Parra 2011, p. 5, con bibliograia precedente. 29 87 Kaulonia. Note su una produzione di punte di freccia nel santuario le oicine metallurgiche interne al santuario34, si producevano armi di piccola taglia come le punte di freccia: lo attesta con certezza un canale di colata a tre coni riferibile alla produzione entro stampo di almeno tre punte di freccia (ig. 107)35. Lo stato di conservazione frammentario della colatura non consente di deinire la tipologia delle punte di freccia prodotte. L’esemplare kauloniate, databile su base stratigraica tra la ine del VI sec. a.C. e l’inizio del V sec. a.C. e in giacitura secondaria, proviene da un’area del santuario dove è stata veriicata una cospicua presenza di attività metallurgica a partire dalla prima metà del V sec. a.C.36. Il reperto trova confronti con altri tre esemplari magnogreci e sicelioti, uno dal settore Nord dell’agora di Selinunte37 e due dall’area sacra di Calderazzo a Medma38. L’esemplare siceliota, conservatosi frammentariamente, è perfettamente confrontabile con quello kauloniate, quelli medmei, meglio conservati, presentano ancora la punta di freccia collegata al cono di colata. Ulteriori tracce della produzione di punte di freccia interna al santuario sono i numerosi esemplari non initi o con difetti di fusione: alcuni con ancora parte del cono di colata collegato o con l’immanicatura non ancora liberata dal metallo in eccesso, altri con fori sull’immanicatura o sulla costolatura centrale, creatisi a seguito dello scoppio di bolle d’aria durante il processo di fusione, altri ancora deformati per via di stampi usurati e/o deformati, come i segni della sutura delle valve dello stampo impressi sull’immanicatura e del metallo fuoriuscito da esso (ig. 105). Che almeno una parte delle punte di freccia kauloniati fosse prodotta per scopi cultuali e fungesse da oferta votiva è ormai attestato anche dalle analisi archeometriche. Alcuni esemplari sono composti da una lega ternaria di rame, stagno e argento39. L’aggiunta di argento, seppure in poche unità percentuali, rendeva la lega estremamente tenera ed Cfr. da ultimo Olivito, Serra 2012, pp. 46-7, igg. 47-8; Parra 2012, pp. 33-4, con bibliograia precedente. 35 Inv. 156253; Scarci 2014a, p. 122 n. 303. 36 L’area in questione è il SAS 4 A.R.T. immediatamente a Sud del Grande Altare (USM 035). Per una presentazione del contesto si rimanda ad Olivito, Sorrentino 2010, pp. 139-40 e Parra 2012, pp. 33-4, con bibliograia precedente. 37 Materiale in corso di studio da parte di H. Baitinger. 38 Grillo 2014, p. 86 cat. nn. 250-251, ig. 250. 39 Parra 2011, p. 19 nota 107. 34 88 Azzurra Scarci inutilizzabile per qualsiasi uso pratico, in secondo luogo ne abbassava sensibilmente la temperatura di fusione per variarne e migliorarne le proprietà meccaniche e chimiche. L’argento kauloniate proveniva, senza dubbio, dal comprensorio minerario di Stilo, Pazzano e Bivongi, il «più importante giacimento di ferro dell’Italia meridionale, a cui è associata la presenza di rame e argento»40. Le attestazioni in area urbana di impianti metallurgici, già sfruttati in età arcaica se non prima41, testimoniano con forza la teoria di produzioni locali, ora dimostrata almeno per una classe di armi all’interno del santuario. Le punte di frecce erano molto semplici da produrre, per questo se ne producevano in grandi quantità e con diverse tecniche; la più semplice, quanto antica, consisteva nell’imprimere in maniera assolutamente simmetrica le due mezze ali, se si trattava di punte di freccia bilobate, in teneri blocchi di argilla. I due blocchi essiccati, se correttamente assemblati, permettevano di creare numerosi esemplari da una singola matrice42. Il limite nell’uso degli stampi era quello della deformazione e del degrado della forma, se ripetutamente utilizzata. Altra tecnica era quella della fusione a cera persa che, ampiamente impiegata nell’area vicino-orientale dal IV millennio a.C., veniva utilizzata per la fabbricazione di oggetti di piccole e grandi dimensioni partendo da modelli di cera che permettevano di risparmiare e riutilizzare la matrice43. Colature e stampi di punte di freccia non sono rinvenimenti particolarmente numerosi, specialmente in ambito sacro44. Il santuario di Deli, ad Cuteri, Rotundo 2002, p. 130. Facella 2011, p. 305 nota 65; Parra 2011, p. 5 nota 15. 42 Rostoker, Gebhard 1980, p. 354. Molti frammenti di stampi in argilla per la produzione metallurgica sono stati rinvenuti a Corinto e in prossimità e sull’Acropoli di Atene; vd. Mattusch 1977a; Ead. 1977b, pp. 384-6, tavv. 99-109. Uno stampo bivalve in terracotta per punte di lancia è stato rinvenuto a Corinto in un contesto di VI sec. a.C., cfr. Mattusch 1977b, p. 381 nota 6. 43 Per la descrizione accurata della tecnica della fusione a cera persa, con i suoi metodi diretto e indiretto, si rinvia a Maryon 1962, pp. 456-91 e Giardino 1998, pp. 66-70 con nota 22, con letteratura precedente. 44 Si segnalano anche, poiché in ottime condizioni di conservazione, diverse colature di punte di freccia ad ardiglioni ed uno stampo lapideo per sette punte di freccia ad ardiglioni, entrambi dell’età del Bronzo. Cfr. Coutil 1912a, pp. 129-30, ig. 1; Id. 1912b, p. 487, ig. 4. 40 41 89 Kaulonia. Note su una produzione di punte di freccia nel santuario esempio, ha restituito quattro punte di freccia non ultimate, due ancora unite al canale di colata tramite i coni45, l’Heraion di Samo46 la metà di due stampi lapidei (?), uno per la produzione di quattro punte di freccia a immanicatura cava (due con lama foliata e uncino e due con lama triangolare), l’altro per una singola punta di freccia a codolo con lama triangolare a due alette. Altri stampi, non provenienti da contesti sacri, sono quello della Casa E di Carchemish47, datato all’assedio della città del 604 a.C. ed i quattro rinvenuti nella Siria del nord, in Assiria, in Ucraina e nel Daghestan, da molteplici contesti; si tratta di matrici per la produzione di una, due o quattro punte di freccia, tutte fabbricate con la stessa tecnica: forma bivalve per punte di freccia bilobate e trivalve per punte di freccia trilobate tenute insieme da un sistema di mortase e tenoni, un canale di colata con relativi coni nella parte superiore ed una base a chiusura48. La matrice meglio conservata è sicuramente quella rinvenuta a Mossul49, l’antica Ninive, tra il 1883 ed il 1884, conservata oggi al British Museum50. Essa consta di sei parti distinte: una base ellittica cava contenente tre perni di bronzo posti ad intervalli regolari per creare l’incavo delle immanicature cave; quattro matrici mobili, che si adattano alla base formando insieme ad essa il vero e proprio stampo; un anello mobile di bronzo che avvolge la parte superiore dello stampo (ig. 106). Lo stampo permetteva di produrre tre punte di freccia alla volta, di cui una bilobata priva di uncino e due trilobate con uncino. La scelta di produrre tipi diversi non sembra casuale, la produzione di punte di frecce trilobate rappresenta chiaramente un’evoluzione tecnica rispetto a quella delle bilobate. Perdrizet 1908, p. 97, n. 484 bis, ig. 339. Rolley 2002, p. 95 ig. 8. Simile all’esemplare di Deli è quello in Flinders Petrie 1917, p. 34, n. 241, tav. XLII, 241 (senza provenienza). 46 Jantzen 1955, p. 58, tav. 64 1,2 B. 46, B. 644; Reinholdt 1992, pp. 230-1 ig. 15a. 47 Woolley 1921, tav. 23b; Elayi, Planas Palau 1995, p. 224, ig. 42E. L’esemplare, atto alla produzione di una punta alla volta, è composto da tre parti che si articolano a 120º; lo stampo è incompleto, manca un anello per unire le tre valve ed una base con perno che consenta di raccogliere il metallo colato e creare la cavità dell’immanicatura. 48 Elayi, Planas Palau 1995, pp. 224-5, ig. 42A-D, con letteratura. 49 Non tutti gli studiosi ritengono che la matrice sia stata rinvenuta a Mossul. Per un quadro completo sull’argomento si veda Derin, Muscarella 2001, p. 196 con nota 58. 50 Budge 1883-84, pp. 109-10, con tavola. 45 90 Azzurra Scarci Nel report l’oggetto è deinito di bronzo, particolare insolito per le matrici prodotte normalmente in pietra, come l’arenaria, o in argilla. Probabilmente era fabbricato in una lega metallica simile al bronzo ma con un punto di fusione molto più elevato rispetto a quello del bronzo proprio51. Nonostante non si conosca il contesto di rinvenimento del reperto, si è considerato una produzione di tipo scitico datato tra 700600 a.C.52. In conclusione, ino a due decenni fa si pensava che il tipo bilobato a doppio uncino fosse una produzione del tutto rara ed eccezionale, prodotta e difusa solo in area iberica53. Le recenti ricerche, partendo proprio dalle evidenze kauloniati, hanno dimostrato che non si tratta di una produzione locale dell’Ibiza fenicia di ine VII sec. a.C., o dell’Andalusia, ma di una più probabile produzione orientale con successiva difusione in ambito fenicio-punico, nonostante non ci siano molte evidenze in base all’edito54. L’esemplare di Pazarli, dalla datazione alta, ne afermerebbe l’origine orientale, nonostante un solo elemento non sia suiciente per confermarlo. Successivamente, il tipo giunse in Occidente, presso stazioni fenicio-puniche, già nella sua forma evoluta con due uncini, per poi raggiungere l’Italia seguendo rotte ramiicate nello Ionio e nel Tirreno. Elayi, Planas Palau 1995, pp. 223-4, ig. 41. Tylecote 1976, p. 40, ig. 25. 53 Cfr. supra. 54 La mancanza di dati editi è certamente un fattore inluente. Interessante ed utile, se non diicile, sarebbe la cosiddetta ‘indagine di provenienza’, ossia analisi archeometriche, nello speciico l’analisi isotopica del piombo, eseguite per cercare di individuare il bacino di estrazione dei minerali che compongono la lega. 51 52 AA.VV. 2006: AA.VV., Los jarrones de la Alhambra. Simbología y poder, Granada 2006; Abate, Cannistraci 2012: A. Abate, O.S. Cannistraci, La stoa Nord dell’agora di Segesta: alcune note preliminari sull’elevato architettonico dell’ala Ovest, in Ampolo 2012, pp. 305-20; Abate, Cannistraci 2013: A. Abate, O.S. Cannistraci, Agora. 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Kaulonia. Santuario di Punta Stilo. Esemplari di punte di freccia non initi e con difetti di fusione (Inv. 147378, 156315, 156271; foto dell’autore). 106. Matrice da Mossul, British Museum (da Elanyi, Planas Palau 1995, ig. 41). 107. Kaulonia. Santuario di Punta Stilo. Canale di colata a tre coni pertinente ad almeno tre punte di freccia (Inv. 156253; foto dell’autore). Finito di stampare nel mese di ottobre 2015 presso le Industrie Grafiche della Pacini Editore S.p.A. Via A. Gherardesca • 56121 Ospedaletto • Pisa Telefono 050 313011 • Telefax 050 3130300 Internet: http://www.pacinieditore.it